di Fausta Romano (*)
Editing a cura di Roberto Seghetti

Questo articolo descrive gli obiettivi e i primi risultati di un esperimento: verificare che cosa accade portando il Tai Chi Chuan all’interno di alcuni incontri tra analisti, in particolare in quelli organizzati ogni due anni, alternativamente in Italia e in Brasile, dall’Istituto Psicoanalitico di Formazione e Ricerca “A.B. Ferrari”, e poi in alcuni appuntamenti di formazione per analisti.

Va subito chiarito che così come esistono diversi modi di intendere e praticare il Tai chi Chuan, e qui mi riferisco alla forma tradizionale della famiglia Yang, esistono ad oggi differenti modi di intendere la teoria e la pratica psicoanalitica. Quello che pratico, e che era al centro degli incontri di formazione, viene definito dell’Oggetto Originario Concreto (**). Questa scuola considera la dimensione corporea come origine della mente e al contempo come il suo primo ed unico oggetto. Ciò consente di superare la dicotomia tra mente e corpo che da millenni caratterizza il pensiero occidentale e postula una sia pur minima conflittualità tra questi due aspetti come origine dei processi di pensiero.

In buona sostanza, la vita e cultura occidentali spingono sempre più verso una dissociazione della mente dal proprio corpo e questo favorisce il presentarsi di squilibri sempre più gravi a carico del corpo e/o della mente: sofferenza fisica, sofferenza psichica. Così nel lavoro analitico si tratta prima di tutto di favorire nell’analizzando un riavvicinamento tra funzioni corporee e funzioni psichiche, prossimità che alla nascita era al massimo grado: si tratta prima di tutto di ricondurre la mente al proprio corpo. Il racconto del passato, decisivo per altre scuole, qui viene accolto solo come espressione del presente, perché il presente è il tempo della corporeità e delle emozioni.

Che cosa c’entra il Tai Chi Chuan?

La verità è che studiando e praticando io stessa questa arte marziale “interna”, come la definiscono i maestri, mi è sembrato di cogliere alcune affinità tra la pratica del Tai Chi Chuan, le sue radici filosofiche che affondano nella storia millenaria del pensiero cinese, segnatamente nel Taoismo e nel Buddismo, e l’ipotesi psicoanalitica a cui mi riferisco. Penso all’incessante e inesauribile training di apprendimento della “Forma”, in cui si allenano la relazione con se stessi attraverso il rapporto con il proprio corpo e la relazione con l’altro, attraverso il tentativo continuo di costruire armonie che riguardino “il dentro e il fuori”, come recita uno dei principi fondamentali di questa arte, e con chi abbiamo di fronte, nel contatto diretto, materiale, nella pratica a due delle tecniche di attacco e difesa, che implicano ascolto e percezione dell’altro. Si è soggetto che osserva e soggetto osservato. Proprio come nel lavoro clinico che svolgo quotidianamente secondo l’ipotesi psicoanalitica dell’Oggetto Originario Concreto: la relazione analitica è considerata come contesto di esperienza sia per l’analista, sia per l’analizzando: l’analista è sollecitato a tornare verso se stesso; l’analizzando ad andare per la prima volta verso se stesso.

Da qui è nata dunque l’idea di invitare Anna Siniscalco a partecipare al convegno di psicanalisi Italo-Brasiliano che si è svolto a Roma, nei giorni 18, 19 e 20 maggio 2018 sul tema: Relazione analitica e funzione terapeutica: variazioni sul tema. Senza che nessuno di noi l’avesse previsto, concordato o voluto, l’intervento di Anna Siniscalco intitolato Relazione, presenza, ascolto e percezione, ha finito per essere, a parere mio e degli altri partecipanti, il fulcro dell’intero incontro.

Convegno Italo-brasiliano Roma Maggio 2018

Convegno Italo-brasiliano Roma Maggio 2018. Intervento di Anna Siniscalco, Presidente di Dinamica Tai Chi Chuan e Arti Associate ASD

Per comprendere il Tai Chi Chuan, dice Anna Siniscalco, più che parlarne bisogna praticarlo, e non si poteva certo proporne la pratica a una novantina di persone che poco o nulla ne sapevano.
Difficile anche raccontarlo solo a parole. Così Anna ha invitato alcuni tra allievi, praticanti e istruttori dell’Associazione Dinamica, da lei presieduta, a eseguire alcuni movimenti basilari di Tai Chi, mentre lei ne esplicitava-svelava alcuni aspetti fondanti. “Che cosa avete visto?”, ha domandato al pubblico presente, quando i praticanti si sono fermati. Molti hanno espresso le loro impressioni, le loro osservazioni, con il risultato di partecipazione attiva, interscambio, esperienza.
È stato un momento che ha interessato e emozionato tutti.

Se, come Anna Siniscalco ci dice, “Il praticante di Tai Chi è chiamato ad essere presente a quello che fa, ad essere in contatto con il proprio corpo e inizia così un viaggio con se stesso servendosi del primo veicolo che ha: se stesso, il proprio corpo”, allora io penso che prima di tutto bisognerebbe accorgersi di avere un corpo e tollerarne la caratteristica principale: il suo essere limite per la mente, che di per sé tenderebbe verso l’illimitato, verso l’infinito. Credo cioè che se l’individuo è troppo ostile alla propria dimensione corporea non riuscirà ad accedere ad una pratica come il Tai Chi Chuan. Potrà rivolgersi a pratiche fisiche che gli diano l’impressione di dominare il proprio corpo, di sottometterlo ai voleri della mente, ma non riuscirà a disporsi con l’umiltà e la curiosità necessarie ad incontrarlo e ad apprendere dal suo corpo.

Così come durante l’esperienza analitica si tratta di trovare nuovi modi di rispondere alla sofferenza, via via lasciando cadere le posture psichiche assunte a protezione dal dolore, anche nella pratica del Tai Chi “la prima cosa che la persona viene chiamata a fare dal suo insegnante è smontare la sua struttura fisica, le sue abitudini posturali, attraverso il fare dei movimenti che mettono in discussione la sua comodità e le sue certezze fisiche, a partire dal modo in cui sta in piedi” e dalla ricerca della centratura: il centro non inteso come un punto fisso, ma come l’esito di una continua ricerca, di un’alternanza di stati, come conseguenza di una dinamica tra opposti, rientra nella visione dinamica di cui questa pratica è impregnata.

“Nel Tai Chi impariamo per prima cosa a stare in piedi e a sentire il peso dove è e dove non è …da questo semplice esercizio comprendiamo che questo famoso centro non c’è. Esso varia continuamente in base a come sto… a come ho dormito a come è il mio umore, ecc… Ad ogni istante cerco un centro, ma quel centro non è qualcosa a cui mi devo aggrappare. E’ semplicemente quella condizione ottimale che mi permette di rilasciare una serie di tensioni che diventano altrimenti barriere, impedimenti e di essere il più possibile presente in quello che sto facendo.
Quindi è una attenzione alle situazioni opposte. Anche molto differenti tra loro”. In entrambe le esperienze è dunque possibile destrutturare e ricostruire: teorie, credenze antiche e illusorie certezze, nel contesto della relazione analitica; movimenti e posizioni estremamente dettagliate, cosa che ci costringe ad essere in quel momento, fino a realizzare una posizione allineata e funzionale, attraverso la pratica costante e guidata dal maestro, nel Tai Chi Chuan.

Questo concetto: destrutturare e ricostruire, peraltro affine al nostro procedere clinico in psicanalisi, ha suscitato in alcuni partecipanti al convegno una sorta di smarrimento o perplessità, soprattutto in coloro che coltivavano in sé l’idea del Tai Chi Chuan come l’arte dell’armonia e della pacificazione tout-court, non considerandone gli aspetti dinamici, continuamente includenti aspetti opposti e da integrare. Ma questo ha reso possibile porre l’accento sul fatto che questo processo di decostruzione avviene gradualmente e secondo i ritmi di ognuno, attraverso la guida rispettosa e attenta di un istruttore/maestro.

“È vero – dice Anna Siniscalco – all’inizio impariamo dei movimenti, alleniamo il corpo in modo tale che si sciolgano delle rigidità, alleniamo il corpo e centriamo la mente. Poi, pian piano accade che la nostra capacità di percepire si trasforma e nel processo dell’imparare a lasciare andare, a non
trattenere, è la stessa energia a muovere noi. È da lì che entriamo nel Tao” “Mi chiedete del vuoto, che cosa è… il vuoto non è vuoto. Ci vuole un convegno a parte per parlare del vuoto. Per quel che ho capito e per dirlo in pochi secondi e con il mio limite, il vuoto è la capacità di essere presenti. E’ allontanarsi dal pensiero discorsivo. Per esempio: uno dei tramiti che ci allontana dal pensiero discorsivo e ci distacca dalla realtà è l’arte. Osservando un’opera d’arte per un istante si esce al di fuori della continuità del pensiero. L’arte fa questo… la sensibilità dell’artista … collegarsi con la capacità creativa e spirituale che gli artisti hanno non è cosa facile da gestire, se non si ha un buon radicamento, se non si è allenato corpo e mente a stare stabili, a non farsi trascinare da tutto ciò che può mettere in atto il contatto con emozioni molto potenti”.

Questo passaggio ha profondamente emozionato l’uditorio. Io credo che qui si situi l’essenza della funzione di analista: questa possibilità ad un certo livello non dicibile di entrare in un’altra realtà di noi stessi, in un altro stato di coscienza, nelle profondità del proprio essere corpo, emozioni pensiero, nell’incontro con l’analizzando, per potere affiancare il suo universo, universo che non potrò mai conoscere in sé, ma con il quale potrò soltanto cercare di creare dei ponti, delle connessioni di esperienza. Qualcosa che svolgendosi tra me e l’altro nell’hic et nunc di ogni incontro, di ogni seduta, permetterà ad ognuno dei due partecipanti di tornare verso se stesso trasformato dall’incontro con l’altro. Qualcosa che forse costituisce l’essenza del processo transferale (proprio di ogni relazione umana), qualcosa a cui lo psicanalista Wilfred Bion si è riferito nelle sue formulazioni quando individuava una funzione artista nell’analista. Un’arte, la psicanalisi, che è scienza; una scienza, la psicanalisi, che è arte.

Dopo quel primo incontro così positivo, ho proposto ad Anna Siniscalco di tenere anche un seminario di informazione ai partecipanti ai Corsi di Approfondimento Teorico Clinico che il nostro Istituto organizza per psicoterapeuti interessati ad ampliare il proprio orizzonte clinico e teorico. E
durante questo seminario, che si è svolto il 16 giugno del 2018, sempre a Roma, presenti una trentina di psicoterapeuti in formazione, è nata in me l’idea di chiedere ad Anna Siniscalco di affiancare il suo insegnamento a quello da noi effettuato nei nostri Corsi. La ragione è semplice: ho pensato che la pratica del Tai Chi Chuan, possa costituire una integrazione necessaria prima di tutto per chi si forma al lavoro di analista, se parliamo di una psicanalisi che includa al proprio interno la dimensione corporea in quanto primo e unico oggetto della mente.

Durante il suo seminario, durato tre ore, i partecipanti hanno avuto la possibilità di sperimentare praticamente cosa vuol dire “stare in piedi” “cercare il proprio centro”, “mantenere il contatto con  l’altro senza mai staccare e senza volere controllare”(***), “la difficoltà a cedere il controllo”, e altri aspetti fondanti la pratica del Tai Chi Chuan, tutte cose di cui Anna Siniscalco aveva parlato e mostrato durante il suo intervento al nostro convegno.

Alla fine, molti degli analisti presenti al seminario hanno chiesto di poter prolungare questo apprendimento. È nato così un nuovo progetto sperimentale: i corsi mensili di Approfondimento Teorico Clinico del nostro Istituto sono stati preceduti da un’ora e mezzo di pratica di Tai Chi Chuan con Anna Siniscalco per l’anno accademico 2018-2019. Come è ovvio, questa esperienza non ha voluto sostituirsi allo studio regolare e approfondito della pratica del Tai Chi Chuan, ma ha costituito un’opportunità per i partecipanti di partire dal contatto con la propria corporeità nello studio e nella formazione alla pratica psicanalitica.

Al termine, su richiesta di Anna Siniscalco, tutti i partecipanti hanno accettato di esprimere le loro impressioni scrivendo dei feedback sull’esperienza svolta. Ebbene, in tutti i contributi era presente la sorpresa per la scoperta della propria dimensione corporea, del proprio centrarsi, di una nuova e più profonda integrazione tra dimensione corporea e dimensione psichica, di modificazioni riscontrate nel corso del proprio lavoro clinico. Per questo abbiamo deciso di dare seguito a questa esperienza anche il prossimo anno. Sarà un cammino di ricerca volto ad aprire nuove questioni e nuovi orizzonti di studio e di approfondimento.

 

 

 

(*) Psicologa, Psicoterapeuta dell’individuo e della famiglia, Presidente dell’Istituto Psicoanalitico di Formazione e Ricerca “A.B. Ferrari”. (***)  Il corpo è considerato in questa ipotesi Oggetto, in quanto oggetto unico della mente, Originario, in quanto all’origine della funzione mentale e in quanto in esso si fonda la originalità di ognuno e Concreto, in quanto è inteso nella sua concretezza, non come esito di processi di introiezione. E’ il corpo in sé, che è contemporaneamente oggetto concreto e simbolo, in quanto per potere essere pensato esso deve essere rappresentato. La funzione mentale nasce dal corpo con la funzione di ridurre l’intensità delle sensazioni e percezioni (eclissi del corpo) perché possano da esse scaturire processi di pensiero.Il pensiero dunque nasce dalle emozioni e sensazioni e senza di esse non vi può essere pensiero.Vv Ferrari A.B. “L’eclissi del corpo. Un’ipotesi psicanalitica, Borla, 1992. L’avere collocato il corpo all’interno del sistema come unico oggetto della mente, ha comportato una radicale trasformazione della teoria e della tecnica psicanalitica. Vv Ferrari A.B., “Relazione analitica, sistema o processo?”, in rivista di Psicanalisi, 1983. Altri articoli sono stati scritti da lui sullo stesso tema.

(***)Mi riferisco qui all’ipotesi dell’Oggetto Originario Concreto, proposta in ambito psicanalitico da A.B. Ferrari e per conoscere la quale rimando ad alcuni testi, tra i quali segnalo : “L’eclissi del corpo”, Adolescenza:la seconda sfida”, “L’alba del pensiero”, dello stesso autore, editi da Borla, “il pulviscolo di Giotto”, sempre di A.B. Ferrari, edito da Franco Angeli, “Prendere corpo”, a cura di Carignani P. e Romano F., edito da Franco Angeli.

 

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L’articolo integrale sarà pubblicato su “Dinamica La Rivista” cui si accede attraverso il sito www.dinamicataichi.it.