Trascrizione dell’Intervista a Marcia Camara.

Psicanalista, Didatta presso la Società Brasiliana di Psicanalisi di Rio de Janeiro, membro della International Psychonalytical association (IPA), membro onorario dell’Istituto Psicoanalitico di Formazione e Ricerca “A.B. Ferrari”, sede brasiliana di Aracaju.

Premessa

Intervista preparata dal gruppo di lavoro composto da Claudia Ledda, Barbara Cipolla, Stefania Lobasso, Rita Cesaroni, Anna Meloni, Antonio Barranca.

Intervistatrice dott.ssa Claudia Ledda.

Interprete e mediatrice: Dott.ssa Fausta Romano.

All’intervista sono presenti anche due colleghi brasiliani di Marcia Camara: il dr Thiago Bonfada, medico e psicanalista, membro associato della Società Brasiliana di Psicanalisi di Rio de Janeiro e la dott.ssa Cinthia Ladvocat, psicanalista presso la Società Brasiliana di Psicanalisi di Rio de Janeiro, membro dell’Interntional Psychoanalytical Association, e psicoterapeuta della famiglia, già Presidente dell’Associazione Brasiliana di Terapia Familiare (ABRATEF).

I: Cosa pensi della morte, come questo influenza il tuo essere psicanalista?

M: E’ una domanda interessante. Penso che la psicanalisi non si occupi della morte. L’oggetto della psicanalisi è la vita. Non ci puoi fare niente con la morte! Con la morte e’ finita. Io so che nessuno ritorna per dire della morte. La vita è importante. Come si fa a vivere bene, avere una vita intensa, una vita di vita oppure una vita senza colore, senza amore, senza passione, senza dolore, una vita che non è una vita. C’è un momento in cui la persona ricerca come vivere la vita o passare la vita. La morte non mi interessa per niente.

 

I: Cosa è per te “essere” e “fare” la psicanalista?   

M: Prima cosa: io sono Marcia Camara, sono una persona, una donna di settantaquattro anni che ha vissuto molte cose buone, molte cose dolorose, ha fatto molte cose che avrei preferito non fare, ma le ho fatte… non ci posso fare niente. Prima di essere una persona che ha il desiderio di essere un’ analista, è importante essere una persona che vive la sua vita, che ha la capacità di esplorare le sue possibilità, il suo pensiero, e di sentire ed aspettare l’altro. Non è possibile altrimenti essere psicanalista. Ho studiato le teorie psicoanalitiche e i diversi autori e ho trovato che riflettono soprattutto sui limiti come essere umano e sulla presenza dell’altro. È molto importante sapere della propria presenza e della presenza dell’altro, dei propri limiti e dei limiti dell’altro. Penso che è questo che penso della psicanalisi.

 

Thiago, vuoi dire qualcosa? Thiago è un giovane psicanalista, c’è una differenza di età e di esperienza tra noi. Che ne pensi?

 

Thiago: Per quanto riguarda la morte, la mia idea è che sia come raggiungere qualcosa. Quanto è difficile per l’essere umano rompere la propria idea di immortalità. Io penso che sia la vicinanza con la morte dell’altro, sia il vissuto di morte o di malattia preparano, consentono un riallineamento della persona con i suoi propri limiti, trasforma la morte in una verità e questo aumenta la responsabilità della persona verso se stesso e anche verso ciò che fa del suo tempo. Come psicanalista penso che il contatto con la sofferenza dell’altro, il contatto empatico, prepara una nuova valutazione di quali siano le mie priorità, della mia vita, del mio tempo.

 

Cinthia Ladvocat (psicoterapeuta familiare): Penso che essere psicanalista sia un lavoro che pensa sul mistero della vita. Ci sono tanti misteri, la morte è un mistero, perché il nostro inconscio non registra la morte; la morte è un’idea. Penso che la morte, per me specialmente, è un confine. Io ho una certa difficoltà a pensare alle cose che hanno una fine, fine della seduta, fine di un amore, perché è sempre un mistero, perché il nostro inconscio vive tutto quello che noi viviamo, in maniera molto intensa e molto passionale. Penso che lavorare con la morte è un modo per esplorare questo mistero, che tutto può arrivare a una fine assoluta. È difficile pensare che una cosa può finire, una vita di un bambino, la vita di un adolescente, la vita di un cane, è molto difficile perché questa essenza dell’amore non può avere fine.

 

I: Marcia, cosa ti tieni stretto della tua esperienza con Bion?

M: Questa domanda è semplice, ma richiede una risposta complessa. Che cosa mi resta della esperienza con Bion?  Non è una cosa, è una evidenza, è una richiesta che non ha fine, perché tutto fa parte della mia esperienza come analista oggi, ma posso riassumere con una frase. Una volta Bion mi ha detto: “La cosa più importante per un analista è sapere pensare”. Il pensiero per Bion è una cosa molto ampia, dalla essenza della cellula dell’essere umano fino a volare nell”infinito dell’universo. L’inizio del pensiero per lui è il limite della possibilità di ciascuno. Io posso essere libera con il mio pensiero, libera di pensare di andare, di volare con il mio pensiero, all’interno della possibilità che mi preparo, mi dispongo anche con il mio corpo fisico, con la mia intelligenza, ma non posso andare oltre se non è possibile per me. La mia pelle è il mio limite per andare nello spazio, se volo troppo alto si disfa, e anche la mente, se voglio superare i limiti della mia mente posso diventare pazza. Come si possono rispettare i nostri limiti e stare nelle nostre possibilità? Bion dice: “In che modo posso espandere le mie possibilità senza dimenticare di rispettare i miei limiti?”.

 

I: Che cosa ti tieni stretto dell’esperienza con Ferrari?

M: L’esperienza con Ferrari è più ampia perché cominciò quando Ferrari era mio analista a San Paolo. Io ero molto giovane, avevo un figlio solo, piccolino, e lavoravo solo con i bambini, ero un’ analista di bambini. Ad un certo punto, nella mia analisi, avevo molta paura di quello che stava accadendo con me stessa e allo stesso tempo avevo iniziato una gravidanza che non andava bene. Mio marito voleva ritornare a Rio, Ferrari lavorava a San Paolo, Io facevo la formazione psicanalitica a San Paolo con il mio analista didatta. È successo qualcosa di molto forte nella mia analisi, io probabilmente a causa di questo ho perduto il mio bebè, la mia gestazione, e per questo avevo deciso di tornare a Rio, perché a Rio stava la mia famiglia.

La mia esperienza di analisi con Ferrari fu molto forte; era iniziata come un’analisi kleniana. Ferrari all’inizio era kleniano ma è sempre stato un analista molto forte.

Ma venendo a San Paolo incontra le idee del dottor Bion. Io avevo un analista kleniano, ma lui comincia la trasformazione da kleniano a bioniano. Io, mentre stavo in analisi, comincio una nuova gestazione, e divento completamente pazza: “Di che cosa parli? Che modo è questo di parlare? Cosa dici? Non ho capito niente!” Nell’analisi kleniana l’interpretazione è il transfert. Invece Ferrari era molto vicino a Bion in quel momento; era giovane, era un principiante, e modificava la sua teoria in quel momento, con me. Io non avevo capito niente perché anche lui era un bioniano inesperto. Ero totalmente nell’angoscia; un giorno gli dico: “Ma di che cosa parla? Io ho scoperto che cosa succede. Tu stai facendo l’analisi con Frank Philips (un allievo di Bion)!” Lui sorride e dice:” No, sono le mie idee nuove”. Per questo non erano le modalità di Bion, che io conoscevo, non era il suo modo di lavorare.

Io dovevo ritornare a Rio perché mio marito voleva stare a Rio con noi, la sua famiglia, e ho interrotto l’analisi, vivendo allo stesso tempo una gestazione molto fragile. Dopo il ritorno a Rio per questa gestazione interrotta, mi fermo. Quando ritorno a San Paolo Ferrari decide di andare a Roma, dopo l’incontro con Bion, per iniziare la sua ricerca sul linguaggio nella relazione analitica con il suo amico filosofo Garroni. E ritorna a Roma con il desiderio di ritornare ai suoi studi di filosofia.

L’incontro con Ferrari fu un incontro molto movimentato.

Poi sono stata molti anni senza parlare con Ferrari. In quel tempo ero ritornata alla mia formazione in San Paolo con il mio analista didatta; il mio analista muore durante la mia analisi. Questa è una esperienza assolutamente traumatica, andare alla seduta e sapere che il tuo analista è morto. E’ stato per me molto traumatico. Dopo questo io ritorno a San Paolo per fare la formazione con Frank Philips, che era stato l’analista di Ferrari. Quando ho concluso questa formazione sono andata negli Stati Uniti per studiare con Bion. Quando ritorno mi contatta Virginia Bicudo che sta a Brasilia, e mi dice che Ferrari mi aspetta, che vuole parlare con me. Io vado a Brasilia per incontrare Ferrari e lì incontro non solo l’analista ma il teorico, il pensatore, il filosofo, l’uomo, e un grande amico di tutta questa mia esperienza di analista.  La prima cosa che mi presenta sono le sue idee e il suo studio con il gruppo italiano. Parlai con Ferrari e Virginia per due giorni per molte ore.

Fausta Romano: Virginia Bicudo fu la psicanalista brasiliana che fondò la Società Psicanalitica di Brasilia. Negli anni 70 c’era solo la società psicanalitica di San Paolo e di Rio, quindi si è occupata sia di aprire una nuova società con Ferrari e con altri psicanalisti a Brasilia sia di formare giovani psicanalisti. Era un personaggio centrale nella società psicanalitica brasiliana e nella vita di Ferrari.

M.: Virginia era una persona geniale. Io sono andata poi a San Paolo per partecipare a delle conferenze e qui ho conosciuto Fausta Romano che mi ha parlato del gruppo italiano. Così ho incominciato a incontrarli ogni due anni, da Brasilia a Roma a San Paolo.

Fausta Romano: Quindi Ferrari ti ha lasciato grandi movimenti…

M: Si, è molto importante. Io studiavo molto la questione corpo-mente; avevo un paziente molto interessante e la teoria kleniana non mi offriva una spiegazione soddisfacente di quello che io stavo scoprendo con il mio paziente. Quando Ferrari propone questa ipotesi dell’Oggetto Originario Concreto l’ho trovata subito interessante e utile. Dopo questo ho incontrato nei miei studi psicanalitici la visione psicosomatica ma non mi convinceva. La proposta di Ferrari apre a più significati. Bion introduce la dimensione del corpo ma la Klein non va in questa direzione, allora come fai ad indagare la relazione corpo mente? Bion non si svincola dalla Klein. Melanie Klein parla dello sviluppo fin dalla nascita, anche Bion parla di questo precoce movimento mentale, non lo chiama più schizoparanoide ma comunque lui parla di questo. Bion distingue tra funzione alfa e funzione beta; l’aspetto interessante è che lui cambia il pensiero kleniano chiamando tutto questo funzioni, funzione materna, funzione paterna, e opera questa trasformazione nella questione funzionale della mente. Queste funzioni si sono sviluppate e si evolvono attraverso lo sviluppo della psiche del bambino; è questo che da questa visione trasformativa dello sviluppo in Bion.  Ma Bion non cambia così radicalmente come ha fatto Ferrari, non va verso il poter collocare primo oggetto della mente proprio il corpo stesso che la ha generata . Bion non arriva fino a lì. Lui continua a sostenere che il primo oggetto è esterno ed è la madre.

Già Freud ci dice che la psiche è prima di tutto corpo, che l’io è innanzitutto un io corporeo. Ma né lui, né gli altri dopo di lui vanno in questa direzione. Dopo Freud l’unico che ha fatto questo è stato Ferrari. Quindi per me non è soltanto una teoria psicanalitica ma è una esperienza vissuta, emozionale e fisica, con i miei pazienti, i miei figli e io stessa con il mio corpo. Questo è quello che cambia per me nell’incontro con l’ipotesi di Ferrari. Questa è la mia visione oggi di quello che è lo sviluppo psichico dell’essere umano, che ha la funzione corporea come fondamento per la funzione psichica.

 

I: Secondo te quanto e come la spiritualità entra nel lavoro dell’analista?

M: Penso che la materia del corpo umano è ancora un mistero per gli scienziati, per esempio in quale scienza esiste una spiegazione del momento in cui il bambino dice: “io sono io”? Questo salto verso la coscienza in quale momento, in quale luogo della fisicità e della psichicita’ accade? Non si spiega questo. Io posso dirvi che forse è il momento in cui le persone possono dire che inizi l’anima umana che si va a differenziare dall’animale, già nell’evoluzione della sua vita intrauterina. Dal momento in cui si crea la prima sinapsi è l’inizio dell’anima. È una discussione della chiesa cattolica fino a che momento si può permettere l’aborto. Alcuni dicono che prima della evoluzione dell’apparato neurologico non si può dire che il feto è umano; anche la scienza sta discutendo questo. Secondo me la prima sinapsi segna l’inizio dell’anima perché da quel momento comincio ad avere memoria. Quello che è visto come primo segno non si dimentica, il corpo non dimentica, non ha parola, solo cellula, nervi, elementi dell’apparato neurologico. A partire da questo inizia la trasformazione in essere umano e allora che succede? Quello che Melanie Klein chiama il necessario? Kant parla di noumeno, ciò a cui non si arriva, Bion parla di O, che lui deriva da Kant, ciò che non si può raggiungere, l’innominabile. Ciò che sta nell’universo, al di là della finestra, delle stelle, delle galassie, di tutto questo possiamo dire, ma non della nostra memoria corporea. In alcuni pochi momenti appare accessibile, qualche volta attraverso la malattia, si crea in qualche modo la possibilità di dire in modo molto primitivo, perché la malattia corporea ci riconduce al primitivo della nostra memoria corporea. Non ci permette di arrivare al nostro DNA ma attraverso le sensazioni ed emozioni fisiche a volte arrivano delle memorie molto primarie, di un ‘epoca in cui non c’era la parola ma che forse attraverso quella sofferenza riesce a dire qualcosa. Per me questo è l’innominabile, non è quello che sta fuori dal corpo, ma che sta dentro il corpo come registro psichico, neurologico, della fisicità fino alla costruzione della psiche.

 

I: Noi siamo lì con la nostra interezza, non possiamo tenere nulla fuori. La differenza è saperlo.

M. È la differenza che fa della persona una persona cosciente della sua umanità oppure no. Una persona che ha coscienza della sua partecipazione come specie alla sua umanità, non è sola, è solo la rappresentante di una specie, e poi saper fare di questo il meglio che può.

Thiago: La spiritualità coincide con religiosità?

M: La spiritualità genera la religione che è cultura. La spiritualità è universale, è parte dell’essere umano, sta nel comprendere che non sono un individuo unico, da solo, ma che faccio parte di una specie. Questa è la spiritualità. La religiosità viene espressa attraverso la cultura, è una costruzione culturale che viene dalla storia, in cui tutti vengono dalla stessa radice. Noi siamo tutti cugini e ci differenziamo a causa della povertà delle emozioni umane. Questo ha generato ciò che succede oggi in questa parte del mondo.

M: Se attraverso la malattia corporea diventa dicibile ciò che prima era indicibile questa possibilità di abitare le parole trasforma la vita della persona, porta qualcosa di nuovo, e può cambiare la vita della persona attraverso la speranza.

Ciò che ho visto nella mia esperienza di analista è che questa possibilità di dire qualcosa di così primitivo non è una specialità della psicanalisi ma può accadere con un medico o anche attraverso il lavoro sulla spiritualita’. Può emergere in quel momento in cui si può dire qualcosa che emerge, si estrapola attraverso il processo analitico, è un processo di sensazione, memoria e possibilità di realizzazione psichica, che può avvenire attraverso un processo di lavoro analitico. Ma può avvenire anche attraverso una situazione drammatica della persona o dalla persona con qualcuno che lei ama. Lo stimolo può venire dallo psicanalista, ma anche dal marito, dal medico, dal prete.

 

I: Come gruppo abbiamo riflettuto tanto sulla funzione artista dell’analista. Questo era un pensiero di Bion.

Hai qualcosa da dirci su questo? Quale può essere la funzione artista del l’analista e come tu lo usi, lo esprimi nel tuo essere psicanalista oggi?

M: Carina questa domanda. Io penso che la formazione psicanalitica è molto povera. Abbiamo quattro, cinque anni per fare la formazione all’interno della società psicanalitica e ci sono forme diverse nei diversi istituti nel mondo. Ognuno ha le sue priorità, quell’autore, la relazione teorica, la relazione pratica, le supervisioni. Io penso che questo è un interesse dell’analista. La maggior parte degli analisti rimane soddisfatto dalla formazione e magari si sceglie un autore che è in accordo con il suo pensiero. Ma la persona in formazione come assume tutto questo? La cosa più importante è l’analisi personale perché questo fa volgere verso di sè uno sguardo curioso e apre alle proprie possibilità di espansione. Questo consente di essere un’analista. Io ho fatto molto tai chi chuan, ed è stata una esperienza importante per capire molto me stessa. Ho fatto teatro per alcuni anni con un autore molto conosciuto in Brasile e poi quando abitavo a Los Angeles. Non vi è una sola forma per l’essere umano. Ascolto molta musica, opera, musica classica, musica popolare. La formazione analitica prende molto tempo nella sua forma istituzionale ma se poi non cerchi nella storia, nella letteratura, nella musica nella ginnastica l’espansione del pensiero e delle idee dell’essere umano resta una formazione molto povera. Ma questo non è responsabilità dell’istituzione psicanalitica, ma della persona. Se pensi di studiare Ferrari e che li ci sia tutta la risposta di che cosa è un essere umano e che cosa significa per un paziente sei perduta. È molto interessante ma hai solo preso una direzione per affrontare questo lavoro, Ferrari può aiutare, Bion può aiutare ma tu devi costruire la tua propria dimensione di tutte queste teorie per avere un proprio pensiero. Se l’analista non ha un proprio pensiero non è un analista, è un imitatore. È questo che penso della funzione artista, è la trasformazione in modo personale. È interrogarsi tutto il tempo: “che cosa penso io?”. È questo costruire senso.

È importante avere buoni amici per l’analista, a cui piaci e che ti piacciano, che siano affidabili, perché tu possa credere che saranno capaci di dirti: “questa situazione è ridicola, è folle”. Questo è molto importante, una relazione reciproca è importante per pensare, perché quando stai pensando qualcosa che ne vale la pena loro possono contribuire, aiutare, ascoltare. Non può essere un gruppo enorme di amici, pochi ma affidabili. Non si può vivere da soli.